L’ETICHETTA ALIMENTARE – 2 parte
La salute passa anche attraverso la corretta informazione e la scelta del consumatore
A cura del dott. Carlo Spigone Dirigente Medico Servizio Igiene degli Alimenti e della Nutrizione ASL ROMA 1
Con il primo articolo dedicato alle informazioni sugli alimenti disciplinate dal nuovo Regolamento (UE) 1169/2011, soffermandoci sul tema degli allergeni abbiamo offerto anche una panoramica su quegli aspetti dell’etichetta alimentare che lo stesso consumatore può cogliere e valutare per una scelta consapevole al momento dell’acquisto a vantaggio della tutela della propria salute.
Tra le altre informazioni di facile accesso e interpretazione derivanti da una attenta lettura dell’etichetta ricordiamo la presenza del termine minimo di conservazione o della data di scadenza, delle condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego, delle istruzioni per l’uso, e del paese d’origine o il luogo di provenienza.
Iniziamo con il chiarire la differenza tra il concetto di data di scadenza e termine minimo di conservazione.
«termine minimo di conservazione di un alimento»: è la data fino alla quale tale prodotto conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di
conservazione. L’alimento consumato oltre il TMC potrebbe non rispettare gli standard qualitativi indicati in etichetta.
Si fa dunque riferimento alla qualità del prodotto e non alla sua sicurezza.
Il termine minimo di conservazione è indicato come segue:
a) la data è preceduta dalle espressioni:
— «da consumarsi preferibilmente entro il …»
Per gli alimenti:
— conservabili per meno di tre mesi, è sufficiente l’indicazione del giorno e del mese,
— conservabili per più di tre mesi ma non oltre diciotto mesi, è sufficiente l’indicazione del mese e dell’anno,
— conservabili per più di diciotto mesi, è sufficiente l’indicazione dell’anno;
“La data di scadenza” è rivolta alla tutela della sicurezza proprio di quegli alimenti molto deperibili dal punto di vista microbiologico che potrebbero pertanto costituire, dopo un breve periodo, un pericolo immediato per la salute umana.
Successivamente alla data di scadenza un alimento è pertanto considerato a
rischio e di conseguenza gli alimenti a rischio non possono essere immessi sul mercato. Gli alimenti sono considerati a rischio nei casi seguenti:
a) se sono dannosi per la salute anche solo su un gruppo di consumatori con una particolare sensibilità (allergia o intolleranza alimentare);
b) se sono inadatti al consumo umano nel senso di una ragionevole inaccettabilità per il consumo umano secondo l’uso previsto, in seguito a contaminazione dovuta a materiale estraneo o ad altri motivi, o in seguito a putrefazione, deterioramento o decomposizione.
L’espressione «da consumare entro …» precederà dunque la data di scadenza che comprenderà nell’ordine e in forma chiara, il giorno, il mese ed eventualmente l’anno.
Per gli alimenti che richiedono condizioni particolari di conservazione e/o d’uso, tali condizioni devono essere indicate.
L’indicazione relativa al TMC e alla data di scadenza sono completate da una descrizione delle modalità di conservazione che devono essere garantite per il mantenimento del prodotto per il periodo specificato.
Inoltre per consentire una conservazione o un uso adeguato degli alimenti dopo l’apertura della confezione, devono essere indicate le condizioni di conservazione e/o il periodo di consumo.
Di pari importanza per il consumatore ai fini della sicurezza igienica e nutrizionale sono le istruzioni per l’uso di un alimento che vengono riportate in etichetta in modo da consentire un uso adeguato dello stesso.
Ad esempio… “scaldare in forno a 180° per 20 minuti”, oppure “tempo di cottura: 15 minuti”, oppure “una volta aperto conservare in frigorifero”.
Come elemento di novità introdotto dal legislatore europeo di particolare
interesse per il consumatore ma anche per lo stesso produttore, viene precisata la differenza tra “luogo di provenienza”, inteso come il Paese da dove proviene l’alimento, e “Paese di origine”, inteso come Paese dove ha subito l’ultima trasformazione sostanziale.
Il Regolamento (UE) 1169/2011 stabilisce che il “luogo di provenienza” è
“qualunque luogo indicato come quello da cui proviene l’alimento”, che deve
differire dal “Paese d’origine” definito come il luogo nel quale il prodotto è
integralmente ottenuto o, nel caso di concorso di due o più Paesi nella sua
realizzazione, il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale.
Tale Regolamento prevede, in generale, l’obbligo dell’indicazione del Paese
d’origine o del luogo di provenienza nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza (ne sono un esempio i casi di “ Italian sounding” ovvero i casi in cui gli alimenti vengono presentati con immagini che richiamano l’Italia sebbene siano stati realizzati altrove).
Lo stesso Regolamento prevede inoltre che quando il Paese d’origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario deve essere riportato anche il paese d’origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente primario; oppure il Paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell’alimento.
In ambito comunitario e nazionale, normative specifiche per prodotto prevedono l’indicazione obbligatoria dell’origine e di provenienza in etichetta.
Accanto agli alimenti DOP e IGP e le specialità tradizionali garantite (STG),
ricordiamo le carni, non solo bovine, ma anche suine, ovine, caprine e volatili, il miele, l’olio d’oliva (per il quale vige l’obbligo di indicare non solo il luogo del frantoio, ma anche il luogo di raccolta delle olive, quando diverso), le uova, il latte fresco pastorizzato, i prodotti lattiero caseari, la passata di pomodoro, il grano e semola nella pasta, il riso i prodotti ortofrutticoli, nonché i prodotti ittici.
È evidente la finalità perseguita dal legislatore nel voler garantire il diritto
all’informazione del consumatore prevenendo qualunque pratica in grado di indurre in errore, nell’interesse di scelte consapevoli per una nuova etica della comunicazione.
Nel prossimo articolo tratteremo il tema dell’informazione nutrizionale dove il legame tra informazione e salute si manifesterà in tutta la sua evidenza e importanza.
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